Salire sulla cupola del planetario col cappello.
Nell’articolo pubblicato ieri,
ho introdotto l’argomento
delle cupole geodetiche di Adriano Graziotti.
Nel 1926, quando Graziotti aveva 14 anni,
l’Impresa Dywidag costruisce
il Planetario Zeiss, a Jena, in Germania.
La volta emisferica del planetario
ha uno spessore minimo: sei centimetri
e un diametro di 25 metri.
La cupola è formata
da una rete di sbarre metalliche
assemblate a triangolo.
Quello che sorprende,
guardando le foto d’epoca,
è la disinvoltura degli operai
che si arrampicano sulla struttura
con il loro inseparabile cappello.
Mi ricordano i dipinti
o le sculture di Folon,
l’uomo col cappello,
icona della visione onirica dell’artista.
Questo è il potere dei simboli
capaci di trasportarti
dalle pagine di un libro di architettura
a un uomo con occhio di sole.
Mi piace pensare
che quel cappello a prova di vento
sia vero.
Mi piace pensare
che nel cappello di ognuno,
gli architetti che hanno progettato la cupola,
i finanziatori che l’hanno sostenuta,
le maestranze che l’hanno realizzata,
e i visitatori che l’hanno ammirata
ci siano le ali per volare.