Leonor Fini. Elogio simbolico dell’ultimo vagone del treno.
In treno, la prenotazione del posto,
toglie fascino al viaggio
perché annulla le affinità elettive
e le scelte istintive di vicinanza.
Fino ad alcuni anni fa,
nell’ultimo vagone del treno,
potevi incontrare
i viaggiatori più interessanti.
E non necessariamente per parlare.
Magari per tracciare,
in assoluta tranquillità.
segni di Logogenesi.
Perché?
Nell’ultimo vagone trovi le persone
che hanno fatto quel passo in più.
Persone che non si sono fermate
nella calca del centro treno.
Persone che si sono spinte oltre,
fino all’ultimo vagone,
a volte sorprendentemente vuoto,
più tranquillo, idealmente riservato.
Mi piace pensare che l’opera di Leonor Fini,
mirabile pittrice di padre argentino
e madre triestina,
sia un classico incontro
da ultimo vagone del treno.
Solo in quello scompartimento riservato
puoi trovare quel fascino
e quella bellezza.
La cornice dei quadri di Leonor Fini,
limitatamente a questa particolare serie,
non è di legno, materica ed esterna
ma puramente pittorica.
È la cornice del vetro del finestrino
che si interpone
tra le figure in primo piano e lo sfondo.
È la cornice tra fermezza
e velocità non descritta.
La fermezza diventa così
risolutiva bellezza.
Quando guardi una di queste opere
ti senti un controllore invadente
che infrange l’equilibrio
di un momento intimo.
L’equilibrio di un’arancia sospesa.
Allora percepisci che è meglio
assorbire quella magia in un istante
richiudere con discrezione
la porta scorrevole del grande vago,
se c’è,
e andare oltre.
Oltre.
Fino al finestrino di fondo.
L’unico finestrino centrale,
che non è di destra
e neanche di sinistra.
Da quel finestrino
sei il punto di fuga.
La terra è ferma e tu sei risucchiato
dalla velocità
e dalla fermezza di quelle immagini.
Un viaggio dal passato
fino al centro del tuo ombelico.
Sergio Bianco #logogenesi
Leonor Fini
sale sul treno a Buenos Aires, nel 1907
e scende a Parigi, nel 1996.
Contemplo la grazia che Grazia