Il terzo occhio di Ligabue, stratega del Naming.
Siamo in Emilia,
una terra dove (parola di Lucio Dalla)
la benzina è come l’oro.
Maserati, Ferrari, Ducati…
Nuvolari…
E proprio in una nuvola,
qualcuno si avvicina.
A bordo di una moto scoppiettante
che attraversa
strade sterrate di campagna
arriva Lui:
Antonio Laccabue.
La patente A
di questo strano personaggio
scade il 15 febbraio 1966.
La sua vita scadrà nove mesi prima.
Il manifesto funebre
stampato a cura dell’Infermeria Carri
di Gualtieri, recita così.
“La caratteristica figura
di Antonio Ligabue,
così familiare nella nostra zona,
scomparirà forse dalla memoria
ma la bellezza delle sue opere
parlerà,
anche alle generazioni future,
di uno spirito che soffrì ed amò
con eccezionale forza di sentimenti.”
Ligabue, quando inizia
a firmare le proprie opere,
sceglie di cambiare Nome:
da Laccabue diventa Ligabue
eliminando l’assonanza cacofonica.
Come Logogenesi afferma,
la mutazione del Naming
ha valore magico
purchè il cambio sia celebrato
con rito autentico
e con intenzione pura.
Quel bifolco di Ligabue,
nella strategia del Naming,
ha qualcosa da insegnare
ai manager dell’aeroporto
dal nome malpensato.
Ligabue, prima di essere pittore,
è scultore di se stesso.
Accettare il proprio essere,
anima e corpo,
non è così facile come cambiare Nome.
Ligabue, nel volo della pazzia,
si percuote il naso con una pietra
perseguendo l’estetica
del profilo aquilino.
Al tempo stesso
l’artista infrange le colonne del tempio,
ovvero si ferisce le tempie,
per far uscire i demoni
che volevano soffocare
la sua ispirazione pittorica.
Mi piace pensare che l’autoritratto
con la mosca sulla fronte
rappresenti il terzo occhio.
De Andrè, in Via del Campo,
celebra il letame che,
diversamente dai diamanti
genera la nascita dei fiori.
Allo stesso modo,
Ligabue celebra con la mosca,
regina del letame,
la visione contadina.
I quattromila occhi (ocelli)
di una singola mosca
sono concentrati
nel punto della saggezza.
Riguardo a Ligabue,
ho avuto l’onore e il privilegio,
nel maggio del 2019,
di contemplare dal vivo
il quadro della tigre con le fauci spalancate,
custodito nel Labirinto della Masone,
insieme a Lui.
Franco Maria Ricci in persona
ha voluto accompagnarmi
nella visita della sua Collezione.
Dalla Jaguar E-Type nera,
siamo andati oltre
e ci siamo ritrovati,
fianco a fianco,
dinnanzi alla tela di Ligabue.
“Questa tigre è un cobra”
ho osservato io incantato.
E il Dottor Ricci,
con determinazione:
“È una tigre.”
In ogni caso, cobra o tigre che sia,
eravamo entrambi
di fronte alla bellezza di un’opera
che, con eccezionale forza di sentimenti,
stava parlando
alle generazioni future.
Sergio Bianco, Logogenesi.